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Tempo di Olimpiadi, tempo di ricordi

Atene 2004: l’Italbasket che sfidò gli dei del canestro

Olimpiadi: il sogno di ogni sportivo. Non è retorica; per chi vive e pratica lo sport, soprattutto uno di quelli che in genere non ha molta visibilità (pur avendo, paradossalmente, un discreto seguito in termini di praticanti), le Olimpiadi restano l’evento che segna una carriera, il picco più alto al quale si può aspirare. La possibilità di scrivere il proprio nome sul libro della storia sportiva mondiale.

Vincere non è da tutti, ma potersi giocare tutto durante le Olimpiadi è un’occasione altrettanto rara. Ed è per questo che episodi, aneddoti, prestazioni eccellenti restano memorabili tanto quanto le medaglie d’oro: spesso un salto, un colpo vincente, una partita al cardiopalma rimangono impressi anche quando non portano al successo, al primo posto del podio.

E tra i miei ricordi più belli vi è proprio una partita di pallacanestro eccezionale: non una finale, ma una semifinale in cui il talento si è espresso alla massima risoluzione, dove la tecnica e il carattere hanno raggiunto l’equilibrio perfetto.

Atene, 2004: Italia – Lituania.

Non temo di fare spoiler dicendo che alla fine il metallo della nostra medaglia fu l’argento (tra l’altro, quella è stata l’ultima medaglia vinta dalla nostra nazionale in una competizione internazionale), ma vorrei raccontare cosa ha rappresentato quella partita per me, appassionato di questo sport che ha avuto anche l’onore allenare due dei protagonisti di quella splendida spedizione.

Ma questo ve lo dirò alla fine.

Un’Olimpiade di cuore e spirito di squadra

Atene 2004 è stata l’edizione del ritorno a casa dei giochi dopo 108 anni, in quella terra greca dove l’idea olimpica aveva visto la luce. È stata anche la prima edizione dopo l’11 settembre, dove le misure di sicurezza erano ai massimi livelli e il pubblico presente era notevolmente ridotto.

A livello sportivo, un nome su tutti spicca incontrastato: lo “squalo di Baltimora”, ossia quel Michael Phelps in grado di vincere 6 ori e iniziare un regno che culminerà a Pechino con 8 ori e 7 record del mondo.

Anche per l’Italia riportò a casa un bel medagliere: la squadra italiana contava sulle conferme della scherma, sulla rivelazione del nuoto e sulla classe di atleti sempiterni come Yuri Chechi e Stefano Baldini. E tra di loro conquistano un posto d’onore i cestisti dell’Italbasket, portando in dote un argento dopo un percorso in cui pochi avrebbero creduto all’inizio.

La corsa del gruppo e una semifinale stellare

Sono passati 20 anni da quando la nazionale guidata dal grande Carlo Recalcati, in continuità con quella andata a Sydney nel 2000, si giocava tutto ad Atene. Un gruppo solido di giocatori ben affiatati in cui tutti potevano essere protagonisti. Una compagine di ragazzi, tra esperti e giovani, che dimostrarono di saper giocare per la squadra e per l’obiettivo.

Dopo un girone eliminatorio in cui subimmo due sconfitte che rischiarono di pregiudicare il passaggio del turno (contro Serbia-Montenegro e Spagna), ai quarti di finale battemmo il pericoloso Portorico per approdare a questa straordinaria semifinale contro la Lituania, campione d’Europa in carica, una squadra che faceva tremare i polsi a tutti.

Ma i nostri riuscirono a tenerli belli saldi, dando vita a una partita che fu un’appassionante dimostrazione di forza, resistenza e perseveranza. Il talento lituano e la forza mentale e strategica italiana diedero vita a una partita magistrale, fatta di ribaltamenti di risultati, tiri da 3 punti a pioggia, giocate astute e imprevedibili.

Chiunque stesse vedendo quella partita non poteva non trattenere il fiato agli scatti di Pozzecco, alla precisione impeccabile di Basile, con i suoi “tiri ignoranti”, o alla grinta di Galanda, contro una Lituania che era data talmente tanto favorita da rischiare di schiacciare qualsiasi speranza italiana.

Dopo il primo quarto in cui l’Italia andò nettamente sotto, la situazione cambiò nettamente: gli azzurri sembrarono cambiare il passo con una grinta mai vista, inanellando una serie di giocate e di canestri con una precisione e una lucidità che nessuno si sarebbe aspettato.

La forza fisica della Lituania cominciò a faticare a tenere il ritmo dell’Italia, che riuscì a mantenere costanti la pressione e la difesa.

Lottando fino all’ultimo secondo, l’Italia riuscì a prevalere: in un palazzetto pieno di tensione e di attesa, al suono della sirena tutti saltarono in piedi per celebrare quanto avevano visto. La vittoria degli azzurri, contro ogni pronostico che li dava sconfitti senza appello, resta una delle pagine più belle di quella Olimpiade e della pallacanestro italiana, che non è ancora riuscita a ripetere quella grande prestazione.

Una partita che resta un testamento dell’incredibile tenacia di quei ragazzi e del loro coach, della voglia di sfidare un finale già scritto e mettere in campo tutto quello che aveva.

A riprova che, spesso, i finali si possono riscrivere. Soprattutto nello sport.

Purtroppo, la favola olimpica si infranse sul muro dell’Argentina, che pure avevamo sconfitto nella fase a gironi: i sudamericani avevano acquisito una condizione migliore e una continuità di gioco che ci mise in difficoltà in termini di tattica e ritmo.

La partita fu un vero e proprio scontro tra stili di gioco, tra la fisicità argentina e l’astuzia italiana. Ma purtroppo, quella volta non fu sufficiente. E tornammo a casa con una medaglia d’argento, il trofeo che più di tutti lascia un sapore dolceamaro in bocca.

Ma tornando a noi, perché vi ho raccontato questa partita?

Beh, non solo perché da ammalato di basket resta una delle più memorabili e nemmeno perché ricorrono i 20 anni da quell’estate ateniese, ma perché tra quegli straordinari ragazzi che si giocarono il tutto per tutto sul parquet ce ne sono due cui sono molto affezionato.

Ho avuto il grandissimo piacere di allenare Matteo Soragna a Cremona, un ragazzo d’oro, non solo d’argento, che mi ha fatto il grandissimo dono del gagliardetto di quella meravigliosa Olimpiade; e Rodolfo Rombaldoni, con il quale abbiamo conquistato insieme ha conquistato la promozione in serie A2 con Brescia nel 2011.

Due protagonisti non solo nei club, ma anche nella nazionale italiana che ci ha regalato quella splendida vittoria argentata. Due giocatori che ho conosciuto e stimato e che sono tra le migliori testimonianze della bontà e della grande gioia che può dare lo sport, in tutte le sue forme.

Quindi, buone Olimpiadi a tutti i nostri atleti e a tutti noi, che dai televisori abbiamo sognato, almeno una volta, di giocare all’ombra della fiaccola olimpica.