Domenica 29 settembre è cominciata la regular season di basket.
A darsi battaglia sul parquet saranno ancora le migliori squadre d’Italia e tra queste anche la Germani Brescia, che sarà impegnata a provare di nuovo la sua grande crescita degli ultimi anni e la voglia di essere protagonista di un campionato che si preannuncia impegnativo, sfidante e di ottimo livello.
Brescia è partita subito forte, vincendo davanti al pubblico di casa per 118 a 94 contro Varese e sebbene questo non possa che rendermi felicissimo (e sto scrivendo questo pezzo dopo la terza giornata di campionato), ho ben altro da ricordare in quella domenica incredibile.
Infatti, a quella gara di apertura erano presenti due miti assoluti della pallacanestro italiana; due uomini che lo sport non lo hanno solo vissuto e respirato, ma che hanno contribuito a plasmarlo così come lo conosciamo oggi.
Sto parlando di Dan Peterson e Toto Bulgaroni, due stelle (e non è solo una metafora) sportive che ancora oggi sono in grado di suscitare grandissime emozioni e ricordi indelebili.
Graziella Bragaglio, presidente del Brescia (che conosco bene, come sapete!), ha presentato coach Peterson prima della palla a due regalandogli una maglia della squadra con il suo nome… un momento di grande orgoglio per la nostra formazione e di emozione per tutti, perché coach Peterson non è stato soltanto un grande allenatore, ma soprattutto è una persona genuina, affabile e di grande intelligenza.
Dan Peterson – l’arma della motivazione
L’inconfondibile accento statunitense anche dopo anni di vita in Italia. Gli occhiali dalla montatura vintage, diventati quasi come la maschera di un supereroe. Non basterebbero mille articoli per raccontare la storia di Dan Peterson, un nome che riverbera nel mondo della pallacanestro da più di 50 anni.
Una carriera stellare, fatta sulle panchine di squadre eccellenti e di presenze cronistiche di grande sagacia e spigliatezza. Un segno indelebile sul parquet di tutti i palazzetti italiani. Non importa che tu sia un fan storico della pallacanestro o un neofita di questo incredibile sport, conoscere anche solo in parte il viaggio sportivo di coach Peterson offre una lectio magistralis su determinazione, strategia e l’arte di ispirare gli altri.
Inizia come assistente al McKendree College nel 1962 e arriva in Italia negli anni Settanta, dopo aver allenato la nazionale del Cile. Le sue doti di grande motivatore e la sua capacità di legare con i suoi giocatori diventano subito evidenti e Peterson si impone non solo per la grande competenza, ma anche per la spiccata personalità.
La sua eredità sportiva si forma proprio in Italia, prima a Bologna e poi a Milano, dove il suo mindset (una miscela di positività, resilienza e adattabilità) lo rende il punto di riferimento non solo delle squadre che allena ma del movimento cestistico italiano tutto.
Una stella a spicchi
Per tutto questo non è stata per nulla inaspettata la notizia dell’ingresso di coach Peterson nella Hall of fame della FIBA, la Federazione Internazionale della Pallacanestro.
Un riconoscimento per una carriera decennale in cui i discorsi e le interviste di coach Peterson continuano a ispirare atleti anche al di fuori del mondo della pallacanestro. Massimiliano Rosolino gli ha lasciato un toccante messaggio durante i festeggiamenti nella sede della Gazzetta dello Sport a Milano, fatti perché Peterson non aveva potuto essere presente a Singapore durante la cerimonia ufficiale, e tanti altri campioni lo hanno festeggiato. Ogni testimonianza è stata di affetto, ammirazione e gratitudine per un uomo che ha saputo motivare, stimolare e guidare i propri giocatori con umanità e competenza.
Forse la migliore incarnazione di ciò che un allenatore dovrebbe essere: una guida salda, una lente che ti permette di vedere i tuoi difetti ma anche di scorgere il traguardo o la strategia per risolvere un momento di difficoltà quando sembra non ci sia la possibilità.
Toto Bulgheroni, da atleta a industriale e ritorno
Coach Peterson non è stato il solo a impreziosire quella prima giornata di campionato.
Un’altra leggenda ci ha onorato della sua presenza, in qualità di presidente dei nostri validi avversari varesini: Antonio “Toto” Bulgheroni, ex giocatore del club negli anni 60-70 con il grande allenatore Aleksandar “Aza” Nikolić, un vero maestro della pallacanestro che ha reso Varese una squadra mitica.
Bulgheroni è un caso studio, potremmo dire, perché non è stato soltanto un giocatore intelligentissimo capace di leggere il gioco degli avversari come pochi altri, ma ha saputo aiutare la sua squadra anche a un altro livello, quello dirigenziale.
Terminata la carriera atletica infatti, Bulgheroni si laureò in Giurisprudenza ed entrò nell’azienda di famiglia, diventandone amministratore delegato nel 1978. Ma non poteva restare lontano dalla pallacanestro troppo a lungo: nel 1984 divenne membro della FIBA per le coppe europee ma dal 1981 era già presidente della Pallacanestro Varese, ruolo che ha ricoperto fino al 1992.
E siccome le grandi passioni in qualche modo tornano sempre (o meglio, non si abbandonano mai, anche quando sembra che non ci sia più spazio), Bulgheroni torna nella società della squadra varesina nel 2023.
Un uomo che conosce lo sport, lo ha sudato sul campo e lo gestisce con intelligenza. Disse di lui Giammarco Pozzecco, uno dei giocatori più famosi di Varese: “Toto unisce due virtù che non possono che fare il bene della società: ha un’intelligenza al di sopra della media e possiede una conoscenza del basket senza eguali. Il tutto unito a un’esperienza enorme”.
Non si può che essere d’accordo: quando si ha la fortuna di poter ascoltare le parole di coach Peterson e di Toto Bulgheroni, si ha l’occasione non solo di sentir parlare di sport ai massimi livelli, ma anche di qualcosa di più profondo: della competenza, dello studio, dell’abnegazione che stanno alla base di qualsiasi esperienza e crescita, che si parli di un tiro sotto canestro o di altri ambiti della propria vita.
Credo che personaggi come Peterson e Bulgheroni ci insegnino questo: al di là dello sport che si pratica o del lavoro che si fa, alla base ci deve essere sempre la voglia di impegnarsi, la motivazione al miglioramento e, credo, anche l’accettazione della sconfitta. Da quello si esce solo migliori, se si ha l’intelligenza di non piangere sul canestro mancato, ma di impegnarsi a segnare il prossimo.